Comune di Ripalimosani (CB)
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UNA DIFFICILE SUCCESSIONE PARROCCHIALE
 

Sul tavolo del Vescovo della Diocesi di Boiano-Campobasso, l’Eccellentissimo Mons. Alberto Carinci, arriva l’ennesima lettera per il caso di Ripalimosani, datata 7 giugno 1961 ed inviata dal rev.mo padre provinciale degli Oblati di Maria Immacolata, nella quale si legge: “In data 2 giugno, il rev. padre superiore di Ripalimosani (p. M. Candeloro) mi scrive, dopo essere state accettate le dimissioni di padre Iammarino, che egli è stato pregato di reggere la parrocchia temporaneamente. Sono lieto che il p. Candeloro Le possa fare questo favore, perché è nostro dovere aiutare come meglio possiamo e sappiamo gli Ecc.mi Vescovi, ma mi permetto di pregare V.E. Rev.ma che tale aiuto non deve oltrepassare il corrente mese di giugno, perché il padre ha la cura dei Novizi che è un lavoro inconciliabile con quello della parrocchia, anche se ridotto al minimo essenziale. Colgo l’occasione per riconfermarLe la nostra impossibilità di accettare la parrocchia di Ripa per mancanza di personale.”
E’ questa una delle numerose corrispondenze riguardanti la singolare successione parrocchiale ripese, tante furono le discussioni e le polemiche in cui rimasero coinvolti la Curia, i padri O.M.I., altri preti, giornalisti, Forze dell’Ordine, ed un congruo numero di ripesi. Di tutta la storia l’unica ad esserne uscita lesa è stata l’immagine del nostro paese.
Il difficile problema della successione si poneva alla morte del novantenne arciprete Don Gaetano Sabatino, stimatissimo ed amato ripese che guidava fin dal 1918 la comunità di Ripa, deceduto il 25 dicembre 1960.
Negli ultimi anni del suo operato, per l’avanzata età, l’arciprete fu coadiuvato dagli Oblati di Maria Immacolata residenti nel vicino convento “S. Pier Celestino”, prima nella persona di padre Piano e poi da padre Espedito Iammarino il quale si dimostrò un sacerdote tuttofare: da manovale a progettista, da imbianchino a decoratore, da catechista a maestro di coro. Aveva restaurato e modernizzato i locali della chiesa parrocchiale e la cappella di S. Michele, meritandosi così tutto il benemerito dei ripesi. Voci sempre più insistenti dicevano che presto la parrocchia sarebbe passata agli Oblati.
I padri O.M.I., per quanto riguarda il loro passato a Ripa, fin dal 1926 scelsero di fondare il primo Noviziato italiano nel convento di Ripalimosani e furono accolti con un immenso giubilo da parte di tutta la popolazione. Essi dovettero ricostruire di sana pianta l’intera struttura ed oggi è diventato un prezioso patrimonio ripese.
Con il loro carisma missionario questi padri si dedicano soprattutto alla carità verso i più bisognosi, sia con aiuti materiali che spirituali, non tralasciando le profonde predicazioni di ogni genere e richieste provenienti da ogni posto della Diocesi. Pazienti e caparbi non si fermano mai di fronte alle difficoltà ed erano ben ricambiati ed amati dai ripesi che si dimostravano sempre pronti alla generosità, laboriosità e religiosità.

Particolarmente in quei primi mesi del 1961 i ripesi, a motivo del loro affetto verso questi padri, formavano capannelli lungo le strade del paese e pubblicavano articoli sulla stampa locale per sensibilizzare il Vescovo affinché si decidesse ad affidare la parrocchia agli Oblati, ma tale risoluzione tardava a venire ed il popolo cominciava a stancarsi.
In un articolo scritto dal direttore de “Il Gazzettino” di Ripalimosani, apparso nel giornale “Il Tempo” del 6 aprile 1961, si descrivono minuziosamente le varie correnti di pensiero del popolo ripese dividendole in tre gruppi: “Una che raccoglie la maggior parte dei ripesi è indifferente a chè parroco di Ripa sia un secolare o un missionario, poiché consapevolmente si rimette al principio gerarchico da cui la chiesa è retta e quindi ai poteri del Vescovo, autorità in materia nella sua Diocesi. La seconda, di minore intensità, è per gli Oblati di Maria Immacolata per un senso di riconoscenza e di nostalgico affettuoso attaccamento nei riguardi di quest’Ordine benemerito. L’altra corrente, la più esigua, ma la più turbolenta e melliflua, che invoglia le donniciuole a scendere in piazza”. Difatti ci furono proteste accese e raccolte di firme contro qualsiasi prete che non appartenesse all’Ordine degli Oblati.
Intanto nel maggio del 1961, p. Iammarino, per lasciar più liberi nella decisione chi di dovere, sollecitato dai superiori rassegnò le dimissioni. Il p. Candeloro, superiore e maestro del Noviziato, assicurò il servizio essenziale in parrocchia fino al 2 luglio, data stabilita dai superiori per la consegna delle chiavi e declinare ogni responsabilità. In questo stesso giorno arrivò il sacerdote mandato dalla Curia, don Giovanni Cerio, per celebrare la Messa, ma una manifestazione di piazza gli impedì di indossare i paramenti sacri e quindi di officiare.

Don Giovanni Cerio scortato dai carabinieri
La cosa non fu vista di buon occhio dalla Curia che pensò di dare una buona lezione. La domenica successiva, 9 luglio, don Giovanni Cerio stavolta arriva a Ripa scortato da un buon numero di carabinieri. L’aria si fa subito tesa. Sul sagrato della chiesa di S. Maria Assunta sono appostati, fin dalle prime ore dell’alba, una folla valutata a circa cinquanta persone e composta prevalentemente da donne e bambini. Le Forze dell’Ordine hanno il compito di aprire un varco tra la folla per consentire al sacerdote l’ingresso in chiesa. A questo punto quando il prete sta per raggiungere il portone principale, la situazione precipita e la confusione dilaga. I carabinieri, senza preavviso, lanciano tre bombe lacrimogene e caricano duramente i gruppi di donne e bambini. Segue un generale fuggi fuggi ed un buon numero di contusi.
L’avvenimento, il giorno dopo, ha vasto eco in tutti i giornali locali a cominciare da “Il Tempo” ed “Il Messaggero” nella cronaca del Molise. Da alcune foto poi furono identificate delle persone e denunziate.

I carabinieri che caricano la folla
Il 21 luglio venne pubblicato sui quotidiani una precisazione della Curia Vescovile riportando una lettera del provinciale degli OMI, riportata  all’inizio di questo articolo, nella quale si lasciava intendere che i Missionari Oblati avevano rinunziato all’invito di accettare la parrocchia. Secondo p. Candeloro, però, da parte degli Oblati erano già pronte due lettere del provinciale attestanti che “non c’era stato mai un rifiuto perché non c’era mai stata un’offerta esplicita”.
Fu insomma una situazione delicata nella quale si poteva arrivare ad una scandalosa rottura tra la Curia e gli Oblati e che ambedue si guardavano bene a non avere contro il popolo ripese. E fu proprio il popolo a pagare i conti quando furono rinviate a giudizio ventidue donne con l’accusa di radunata sediziosa e turbamento di funzioni religiose; un uomo per rispondere di oltraggio a pubblico ufficiale e tre per rispondere del reato di minaccia. Per fortuna, con la sentenza del processo avvenuta il 24 aprile 1964, alla fine furono tutti graziati.
E la parrocchia? Dopo questi avvenimenti gli animi si placarono ed impararono a tollerare i preti inviati dalla Curia che in quella estate del ‘61 fu la persona di don Vittorio Perrella, il quale rimase a Ripalimosani fino al 1978, anno in cui, dopo lunghe trattative con la Curia, il 15 agosto venne nominato primo parroco OMI del paese, p. Paolo Miceli, accolto stavolta con gioia e con serenità degli spiriti.
Quello che i ripesi “fondamentalisti” non vollero capire o accettare è il senso proprio degli Oblati. Pio XII li definì “Gli specialisti delle missioni più difficili” e questo la dice lunga sulla loro attività internazionale come “apripista” fra popoli profani. Averli in un paese già da secoli cristianizzato può essere considerato da un lato come un lusso per la loro forte carica di potenza spirituale, ma la loro continua movibilità può causare delle brusche interruzioni degli stessi cammini spirituali che non sempre si riescono a riprendere, come spesso è avvenuto a Ripa. Tutto questo gli Oblati ne sono perfettamente a conoscenza ma sono rimasti prigionieri del grande affetto dei ripesi.