Cercando informazioni
sulla storia degli Oblati di Ripa, mi sono imbattuta
in nomi più o meno conosciuti: p. Abramo,
p. Candeloro,
p. Mario, p. Paolo. Ricordo, ad esempio, che
da piccoli, con la fantasia tipica dei bambini,
avevamo creato un alone di mistero e di paura
intorno alla figura di p. Abramo: “Non
andare a confessarti da p. Abramo, ha un occhio
di vetro ed è un esorcista!” .
Mi impressionò un commento in particolare
riguardo alla canzone (io credo risorgerò…),
che intonava quando moriva qualcuno: “Con
quella voce e il suono dell’organo ti
sembra di vedere il corpo che sale in cielo…”.
Sono, dunque, cresciuta nella convinzione che
fosse un vecchio prete scontroso, con quell’aria
da burbero e quel vocione, che faceva paura
ai bambini, che se ne stava al convento e cantava
durante i funerali.
Quando, il 13 settembre del
1991, P. Abramo Sebastiano muore, P. Candeloro
lo ricorda in un articolo apparso su “Il
Gazzettino”, in questo modo: “Il
linguaggio è immaginoso e iperbolico,
la fantasia viva e un po’ bizzarra. A
volte non distingue il sogno dalla realtà,
quello che ascolta da quello che pensa, quello
che vede da quello che immagina. È difficile
tracciare un profilo biografico...
Da buon siciliano, aveva un
temperamento ardente impulsivo, focoso, infiammabile.
La sua predicazione era mirabolante e semplice,
fascinosa e talvolta deludente, ma sempre di
effetto: era un trascinatore...Era un aggressivo
contro il maleficio e la superstizione. Spesso
si presentava sul pulpito carico di amuleti:
corni, cornetti, ferri di cavallo, scope ciocche
di capelli, forbici ecc. e con battute spiritose
e sferzanti, condannava mimando la fatuità,
l’immoralità, l’ignoranza
dei creduloni. Il talento musicale era un’arma
di successo. Era dotato di voce robusta e squillante,
di polmoni resistenti per ore e ore. Con discreta
tecnica riusciva a organizzare, in poco tempo,
in chiesa e fuori, funzioni attraenti, con la
partecipazione attiva di gruppi e masse. Ineguagliabile
nel celebrare le feste mariane e il mese di
maggio. |
Chi si fermasse
sui difetti, ed erano tanti e vistosi, per dare
un giudizio negativo, sarebbe ingeneroso e forse
ingiusto. Virtù e difetti si confondevano
e a volte si armonizzavano dando un quadro di
ombre e luci che lo rendevano simpatico e attraente.
Quindi, non tanto per acquiescenza al “parce
sepulto”, dei romani, ma da una sennata
valutazione della persona, del suo operato,
dai frutti del suo ministero, bisogna riconoscere
in P. Abramo un vero missionario, un grande
missionario. Lavoratore instancabile, sempre
animato da zelo ardente e da grande generosità,
si è dato tutto a tutti...
Ha formato tanti cristiani
a vivere il vangelo, ha strappato tante anime
da una vita dissoluta alla vita di grazia: ‘veramente
ha fatto strage nel regno di satana’!
Ha formato nei ripesi un’autentica coscienza
missionaria, espressa non soltanto con offerte
generose, ma anche e soprattutto con la preghiera
e il sacrificio…
È stato un pioniere nella formazione
del laicato, coinvolgendolo attivamente e responsabilmente
nell’apostolato e nel servizio ecclesiale…
Sebbene stanco passava ore intere a raccontare
esperienze missionarie…”.
Colpita da questa descrizione,
ho cercato altre informazioni e, di nuovo, mi
è venuto in aiuto un articolo de “Il
Gazzettino”, si tratta di un’intervista
del 1985 al soldato di Cristo: P. Abramo Sebastiano.
“ Valentissimo missionario, sempre in
prima linea nonostante gli anni, ricco ancora
della sua proverbiale irruenza, p. Sebastiano
conserva intatta la sua carica, il fascino che
lo ha sempre contraddistinto e che ha fatto
di lui uno dei personaggi più conosciuti
di tutto il Molise.
Di questo autentico soldato
di Cristo tutti hanno qualcosa da raccontare:
episodi singolari, commoventi atti di carità,
esperienze stupende, incredibili testimonianze
di amicizia e di fraternità, ma quanti
possono dire di conoscerlo veramente, quanti
sanno delle sue origini isolane, della sua vita?
Pochissimi, anche molti di coloro che gli sono
sempre stati vicini. Ebbene per eliminare questa
lacuna, abbiamo rivolto a P. Sebastiano Abramo
alcune domande, alle quali ha risposto con la
consueta franchezza.
D.: Molti vi ritengono ripese
puro sangue, ma noi sappiamo che non è
così. A beneficio dei lettori de “Il
Gazzettino” volete dirci dove e quando
siete nato?
R.: Sarei felice di essere
molisano, ma sono un siciliano, siracusano (Magna
Graecia). Sono nato a Melilli (SR), il 27-1-1907,
Melilli è l’antica Iblea. È
rinomata per l’ottimo miele.
D.: La vocazione religiosa
è difficile da capire e da spiegare.
Che cosa è stata per voi? Quando avete
sentito la chiamata del Signore?
R.: La mamma religiosissima,
sposando papà, avrebbe messo la condizione
di far diventare tutti i figli ‘parrini’
sacerdoti. Siamo infatti tre sacerdoti in famiglia.
Fummo frequentatori della chiesa fin da piccoli.
Ci si lasciava frequentare soltanto l’ambiente
familiare. Un giorno venne a casa mia il p.
Vincenzo Immè, anche di Melilli, subito
dopo la Prima Guerra Mondiale, alla quale era
stato chiamato come cappellano militare. Mi
fece impressione la divisa e il grande Crocifisso
che egli portava: ‘Signora, disse a mia
mamma parlando di me, perché non lo facciamo
Oblato?’- Io gli chiesi: ‘ Che significa
Missionario Oblato’ - ‘Te ne renderai
conto tu stesso, mi rispose, ma è lontano
dove andremo’. Io sentendo che dovevo
viaggiare, risposi volentieri di sì.
– Arrivati alla Scuola Apostolica di S.
Maria a Vico, in provincia di Caserta, mi accorsi
che i Padri volevano molto bene agli apostolini.
Un nostro professore laico, il Prof. Cioffi,
ci leggeva spesso il De Amicis. Io e un altro
apostolino un po’ più piccolo prendemmo
una febbre di nostalgia e decidemmo di…evadere.
Arrivati fuori, in piazza Aragona, io dissi:
‘Dove andiamo? Io devo passare lo Stretto
di Messina!…’ Allora ritornammo
indietro. – Ascoltando la lettura delle
meditazioni di S. Alfonso sentii la vocazione
vera. E da allora non ebbi mai nessuna tentazione
contro la vocazione, neanche nelle uniche vacanze
in famiglia, dopo la quinta ginnasiale. La mia
intera formazione alla virtù ebbe il
suo fondamento nella formazione avuta dalla
mamma.
D.: L’anno di noviziato
cosa ha rappresentato per voi?
R.: Lo feci nella Provincia
francese che aveva il Noviziato a S. Giorgio
Canavese (TO). Maestro, il p. Ilario Balmes,
vero uomo di Dio che ci formava all’amore
dell’Istituto, della Vergine SS.ma, del
Papa, della Chiesa. Eravamo 26 novizi. Io ero
un po’ caposquadra, nelle recite e in
tutto quello che si organizzava. Cosa che mi
è rimasta anche nella predicazione, per
attirare l’attenzione dell’uditorio.
D.: In quale anno e dove siete
stato ordinato sacerdote?
R.: A Ivrea, nel 1931.
…
D.: L’essere sacerdote
e, in particolare, missionario, cosa comporta?
R.: Comporta tutto l’impegno
dell’attività e della vita. Missionari
si nasce e si diventa. Tutto dipende, altresì,
dalla formazione che si è ricevuta.
D.: Secondo voi, i missionari
che ci stanno a fare?
R.: Per dare tutto se stessi.
Sono convinto che se viviamo la vita missionaria,
rimaniamo nella vera gioia e nell’apostolato
del bene. È felicità. È
fecondità. Come quando la mamma dà
al mondo un bambino. È responsabilità
corrispondente alla gioia. Felicità anche
nei ministeri più assillanti e penosi.
Soddisfazione nel predicare, ma altrettanto,
se non di più, anche nel ministero delle
Confessioni, che opera veri prodigi di gioia
e di conversione. Cercando, però, di
essere sempre delicatissimo in tale rapporto.
D.: In quale anno siete arrivato
a Ripa, e quanti anni avete trascorso complessivamente
nel nostro paese?
R.: Nel settembre 1933. Vi
trascorsi un primo periodo di 21 anni. Poi di
nuovo dal 1969 al presente. Quanto a questo
contatto con Ripa, suscitavo abbastanza entusiasmo
nella gioventù. Le ragazze di allora
venivano abbastanza elettrizzate. Per coerenza
all’austerità della vita del religioso,
avrei preferito non svolgere più il ministero
presso di loro, ma i superiori mi dissero che
potevo e dovevo rimanere. Quanto alla formazione
interiore e spiritualmente sento di dover tanto
al contatto con i giovani novizi che ho visto
passare nel corso di tanti anni nel convento
di Ripa. L’amore verso i novizi era anche
preoccupazione di farli stare bene. Ho salvato
l’80% dei novizi con l’attività
musicale e con altre iniziative adatte alla
loro indole. - Ritornando alla mia attività
all’esterno, come missionario a Ripa e
nel Molise, il comportamento dignitoso e serio
mi ha sempre guadagnato la stima della gioventù
e della popolazione. – Questa è
stata anche la motivazione principale della
cittadinanza onoraria conferitami da Ripa.
D.: La ricostruzione materiale
del convento. Per voi cos’è un
convento?
R.: L’aut-aut dei Superiori:
‘O si ristruttura il convento o si tolgono
i novizi, ha stimolato l’interesse di
molti: Il papà di Nicolino Camposarcuno
disse: ‘Padre, ci penseremo noi ’.
e tutto il popolo ha lavorato, anche materialmente,
per la rinnovazione materiale del convento!
Ognuno dava cento ore di lavoro o l’equivalente
in offerta. Una volta sull’altare dissi:
‘Girerò per ogni casa’. Ma
il Comm. Di Penta, mi interruppe: ‘Non
andrete per le case, perché ci penseremo
noi’. Molte persone pie hanno dato tanto
per tale scopo. Per questo ho sempre ripetuto:
‘Il Convento è vostro, perché
l’avete fatto voi’. In tutta questa
promozione di bene, i superiori mi hanno sempre
concessa la più ampia libertà
di azione.
D.: E gli anni difficili?
R.: Tante offerte generose,
anche spettacolari, come quella quarantina di
cavalcature, da S. Giovanni in Galdo, per portare
derrate per il sostentamento dei novizi. In
una missione a Riccia, una marchesa fece subito
confezionare 90 paia di calze per i novizi,
e bellissimi costumi in velluto per paggetti
impegnati nelle manifestazioni altre a Ripa.
Però non ponevo mai al primo posto la
questione finanziaria. Era sempre la Provvidenza
che veniva incontro, e potevamo, qualche volta,rispondere
agli appelli di altre Comunità,
come un bel contributo inviato per la nascente
opera di Pescara.
D.: Ripese a tutti gli effetti
cosa credete di aver preso da questo popolo?
R.: Voi ripesi avete preso
dai Benedettini, primi fondatori di questo antichissimo
Convento: “Ora et labora”. Io ho
preso da voi la stessa consegna: lavoriamo e
preghiamo!
D.: Quali difetti ci riconoscete
e quali pregi?
R.: I ripesi sono eccezionalmente
laboriosi. Sono anche un popolo che prega, un
popolo generoso, anch’io ho preso queste
caratteristiche, anche se vi fossero dei difetti
insieme ai pregi. Ho tenuto sempre a guardare
ottimisticamente ogni cosa, nel Divino Volere”.
Che peccato non aver conosciuto
questo personaggio!… |