Comune di Ripalimosani (CB)
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 Marted́ 29 Aprile 2025

  
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SCOMPARSO UN GRANDE RIPESE: NICOLINO CAMPOSARCUNO
 

Il giorno 2 maggio del 2003 è venuto a mancare uno dei personaggi contemporanei simbolo di Ripalimosani: Nicolino Camposarcuno.

Di lui si potrebbero scrivere pagine su pagine: dall'attivismo dell'Azione Cattolica, alla direzione della Filodrammatica del paese che portava in scena, tra l'altro, alcune sue brillanti commedie rappresentate in molti paesi molisani.

Ma dove viene maggiormente ricordato è stata senza dubbio la direzione del giornale locale "IL GAZZETTINO", da lui co-fondato, nel 1954, e diretto fino ad oggi.

Da non dimenticare anche la pubblicazione di due libri: "Sotte e ll'erkate", i mitici dialoghi tra Peppe e Kole, e "Milleuno: Grani di saggezza popolare". (cliccando qui puoi trovare le relative schede).

Noi della redazione di RipalimosaniOnLine ci promettiamo di pubblicare al più presto una sua più completa biografia e nel frattempo ci piace ricordarlo riportando un suo poemetto su Ripa:


ritratto di Bianca Santilli
    
Amo questo paese dove sono nato;
il campanile, la chiesa dove sono stato battezzato;
il castello che ha popolato di sogni la mia fantasia di fanciullo;
i viottoli scoscesi della sua campagna, le strade strette, i vicoli angusti dove sono cresciuto.

Amo la piazza asimmetrica e dal fondo diseguale;
la fontana che mi dissetava alla fine di combattuti e spossanti giochi;
l’ombra protettrice degli archi dove ascoltavo attentamente i racconti dei grandi.

E le porte delle case sempre aperte;
il discorrere e il pettegolare delle donne sedute sugli usci intente all’ago e ai ferri;
agli angoli riparati ed assolati dove i vecchi traggono novello calore e dove i cani,
senza museruola e guinzaglio, non coccolati ma liberi, spendono la loro filosofia
tra uno abbiglio ed uno stiracchiar di membra.

Amo questo paese mucchio di case grigie e annerite dal tempo;
i ballatoi, l’arabesco dei mille gradini, le finestrelle col geranio appassito,
i balconi con le piantine di prezzemolo e di basilico
dove i passeri si posano sicuri di trovare un po’ di cibo.

Amo questo paese per i teneri legami che ad esso mi tengono avvinto;
l’amo nella memoria di mio padre, nel ricordo dei parenti, degli amici scomparsi:
vecchi o giovani, perché in questa terra l’amicizia non conosce limiti di età
o confini di classe.

Qui la gioia di uno è la gioia di molti e l’invidia di pochi;
il dolore di uno è il dolore di tutti.
Uno per uno li conosco, anche se a volte ne ignoro il cognome o perfino il nome.

Amo questa gente perché è la mia gente: decisa, caparbia, lavoratrice,
anche se sembra apatica ed assente.
Amo la sua giovialità, l’estro, l’originalità, la bontà, la testardaggine,
il calore delle dispute politiche, i suoi lunghi silenzi, gli scatti improvvisi.

E le sue tradizioni, le sue credenze, i costumi, i riti semplici di gente semplice,
lo svolgersi della vita calmo, pacifico, tranquillo, sereno.

Amo il suo cielo limpido, sgombro da fumo e da fili,
ricco solo del volo delle rondini;
l’orizzonte limitato che par che escluda il paese dal resto del mondo
e lo rende mondo intero; il sole che picchia;
la pioggia che viene giù lenta o furiosa, rada o fitta, e non ristagna ma scorre veloce
e lava, pulisce, lucida i selci delle strade.

E il vento che soffia dai monti, che si incanala nella valle, fa gemere i pochi alberi
e fischia, mugola, fa cigolare e sbattere le vecchie imposte.

Amo il suo freddo inverno quando la neve e il gelo rendono deserta la piazza
e le strade e dai comignoli il fumo stenta ad uscire risospinto,
torto, sfilato, stracciato e disperso dalla tramontana.

Amo i muti, lunghi, distensivi colloqui col camino:
fedele ed insostituibile amico.

E la sediolina di paglia, le molle con cui raccogliere e risistemare i pezzetti di legna
ed i carboni, il soffietto per ravvivare la fiamma calda, brillante, visibile;
fiamma che, con tutto l’insieme, dona un calore al fisico ed al cuore
che nessun altro può dare.

E il fumo che va e che viene e col suo andare,
con la sua maggiore o minore intensità,
ti dice dell’andamento del tempo senza bisogno di alzarti e mettere il naso alla finestra.

Amo le sue tiepide primavere quando i campi si riempiono
di un verde dalle cento sfumature e il vallone scroscia ancora rumoroso
per lo sciogliersi delle ultime nevi.
Le donne che lavano inginocchiate su un sasso
e i panni stesi al sole, agitati dalla brezza,
come enormi farfalle variopinte.

E le roventi estate quando il sole tutto ingiallisce e brucia;
i covoni sull’aia; la trebbiatura, i mucchi di paglia sui quali i ragazzini
saltano gioiosi e vi sprofondano e ricompaiono coperti dai fili dorati,
con le testine arruffate e risplendenti, simili a cherubini.

E le notti di luna piena, sfavillanti di stelle,
quando è dolce sostare all’aperto ed udire il verso monotono del cuculo,
il gracidare delle rane, il frinire delle cicale, il canto dell’usignolo,
i rintocchi dell’orologio del campanile
che scandiscono il tempo che passa… passa inesorabilmente.

Amo tutte queste cose: quelle che vivono nel mio cuore,
nei miei ricordi e, forse, nella mia fantasia.
Cose, molte delle quali, lasciate per strada e che, invano,
cercherò di ritrovare.

Nicolino Camposarcuno