Amo questo paese dove sono
nato;
il campanile, la chiesa dove sono stato battezzato;
il castello che ha popolato di sogni la mia
fantasia di fanciullo;
i viottoli scoscesi della sua campagna, le strade
strette, i vicoli angusti dove sono cresciuto.
Amo la piazza asimmetrica e dal fondo diseguale;
la fontana che mi dissetava alla fine di combattuti
e spossanti giochi;
l’ombra protettrice degli archi dove
ascoltavo attentamente i racconti dei grandi.
E le porte delle case sempre aperte;
il discorrere e il pettegolare delle donne
sedute sugli usci intente all’ago e
ai ferri;
agli angoli riparati ed assolati dove i vecchi
traggono novello calore e dove i cani,
senza museruola e guinzaglio, non coccolati
ma liberi, spendono la loro filosofia
tra uno abbiglio ed uno stiracchiar di membra.
Amo questo paese mucchio di case grigie e
annerite dal tempo;
i ballatoi, l’arabesco dei mille gradini,
le finestrelle col geranio appassito,
i balconi con le piantine di prezzemolo e
di basilico
dove i passeri si posano sicuri di trovare
un po’ di cibo.
Amo questo paese per i teneri legami che
ad esso mi tengono avvinto;
l’amo nella memoria di mio padre, nel
ricordo dei parenti, degli amici scomparsi:
vecchi o giovani, perché in questa
terra l’amicizia non conosce limiti
di età
o confini di classe.
Qui la gioia di uno è la gioia di
molti e l’invidia di pochi;
il dolore di uno è il dolore di tutti.
Uno per uno li conosco, anche se a volte ne
ignoro il cognome o perfino il nome.
Amo questa gente perché è la
mia gente: decisa, caparbia, lavoratrice,
anche se sembra apatica ed assente.
Amo la sua giovialità, l’estro,
l’originalità, la bontà,
la testardaggine,
il calore delle dispute politiche, i suoi
lunghi silenzi, gli scatti improvvisi.
E le sue tradizioni, le sue credenze, i costumi,
i riti semplici di gente semplice,
lo svolgersi della vita calmo, pacifico, tranquillo,
sereno.
Amo il suo cielo limpido, sgombro da fumo
e da fili,
ricco solo del volo delle rondini;
l’orizzonte limitato che par che escluda
il paese dal resto del mondo
e lo rende mondo intero; il sole che picchia;
la pioggia che viene giù lenta o furiosa,
rada o fitta, e non ristagna ma scorre veloce
e lava, pulisce, lucida i selci delle strade.
E il vento che soffia dai monti, che si incanala
nella valle, fa gemere i pochi alberi
e fischia, mugola, fa cigolare e sbattere
le vecchie imposte.
Amo il suo freddo inverno quando la neve
e il gelo rendono deserta la piazza
e le strade e dai comignoli il fumo stenta
ad uscire risospinto,
torto, sfilato, stracciato e disperso dalla
tramontana.
Amo i muti, lunghi, distensivi colloqui col
camino:
fedele ed insostituibile amico.
E la sediolina di paglia, le molle con cui
raccogliere e risistemare i pezzetti di legna
ed i carboni, il soffietto per ravvivare la
fiamma calda, brillante, visibile;
fiamma che, con tutto l’insieme, dona
un calore al fisico ed al cuore
che nessun altro può dare.
E il fumo che va e che viene e col suo andare,
con la sua maggiore o minore intensità,
ti dice dell’andamento del tempo senza
bisogno di alzarti e mettere il naso alla
finestra.
Amo le sue tiepide primavere quando i campi
si riempiono
di un verde dalle cento sfumature e il vallone
scroscia ancora rumoroso
per lo sciogliersi delle ultime nevi.
Le donne che lavano inginocchiate su un sasso
e i panni stesi al sole, agitati dalla brezza,
come enormi farfalle variopinte.
E le roventi estate quando il sole tutto
ingiallisce e brucia;
i covoni sull’aia; la trebbiatura, i
mucchi di paglia sui quali i ragazzini
saltano gioiosi e vi sprofondano e ricompaiono
coperti dai fili dorati,
con le testine arruffate e risplendenti, simili
a cherubini.
E le notti di luna piena, sfavillanti di
stelle,
quando è dolce sostare all’aperto
ed udire il verso monotono del cuculo,
il gracidare delle rane, il frinire delle
cicale, il canto dell’usignolo,
i rintocchi dell’orologio del campanile
che scandiscono il tempo che passa…
passa inesorabilmente.
Amo tutte queste cose: quelle che vivono
nel mio cuore,
nei miei ricordi e, forse, nella mia fantasia.
Cose, molte delle quali, lasciate per strada
e che, invano,
cercherò di ritrovare.
Nicolino Camposarcuno