Nella
piazza principale di Ripalimosani, all'alba
del 3 febbraio 1799, l'artigiano Domenicangelo
Camposarcuno, detto "Coccitto", vestito "di
sarica di panno color blu, camiciola e calzoni
anche blu di velluto, fascia di lana verde intorno,
calzette di lana color violaceo e scarpe bianche
appuntate .. con fucile, pugnale e baionetta",
seguito da un gruppo di contadini armati di
scure, abbatterono in un attimo l'albero della
libertà innalzato dai repubblicani innanzi alla
chiesa di S. Michele.
Questo è solo l'inizio di quella
drammatica giornata che, fortunatamente più
unica che rara nella storia di Ripa, fu teatro
di sanguinosi omicidi commessi dai "cafoni"
inferociti contro i nuovi padroni terrieri,
ma prima di proseguire con il mesto racconto
è opportuno analizzare il quadro storico di
quell'epoca ed i motivi che portarono all'esasperazione
totale dei contadini, non solo ripesi, e a farsi
giustizia a modo loro.
Già qualche anno prima, la
Rivoluzione Francese stava sconvolgendo tutti
i regni dell'Europa non soltanto per il propagarsi
delle sue ideologie rivoluzionarie, ma anche
per opera del generale dell'esercito francese
Napoleone Bonaparte che stava avanzando in tutto
il continente.
In Italia tali ideologie precedettero
la calata del generale e ne prepararono il terreno
tanto che a Roma un presidio d'avanguardia napoleonica
osò penetrare negli appartamenti pontifici ed
intimare il vecchio Papa Pio VI, ivi regnante
da più di un ventennio, ad abbandonare Roma
per far posto alla Repubblica Romana di stampo
francese (15 febbraio 1798). Stessa sorte toccò
al Re di Napoli Ferdinando IV di Borbone che,
non resistendo a lungo alla pressione del popolo
e delle truppe francesi, fu costretto a riparare
in Sicilia, mentre il Regno di Napoli diventava
la Repubblica Partenopea (22 gennaio 1799).
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Pianta di un albero della
Libertà |
Re Ferdinando,
però, riuscì a riordinare in Sicilia un esercito
di fedelissimi, soldati mercenari, appena sufficienti
per marciare verso Napoli, e coadiuvato dagli
uomini del Cardinale Ruffo, riconquistò il trono
il 18 giugno 1799. Ivi, rafforzandosi, continuò
la marcia verso Roma dove rovesciò il 30 settembre
1799 la Repubblica Romana. Un anno, dunque,
intenso di avvenimenti e movimenti, non solo
in Italia. Ma perché le masse dei contadini
non guardavano con molta simpatia gli ideali
della Rivoluzione Francese?
Dopo anni e anni di regime feudale il contadino
viveva di stento e carico di gravezze ed angherie
di ogni genere. C'era quindi una volontà di
rinnovamento. I contadini tuttavia, rozzi ed
ignoranti com'erano, restavano confusi e distaccati
dalle idee francesi; tanto più che gli stessi
giacobini, la nuova classe dirigente della Repubblica,
non avevano ancora assimilato fino in fondo
quegli ideali, nè andarono incontro alle reali
esigenze di un popolo che aveva più fame di
pane che di metodi. Anzi, essi fecero man bassa
di tutto distorcendo le vere finalità della
rivoluzione. Famosa è rimasta la versione popolaresca
in modo satirico del motto "egalitè, libertè,
fraternitè. tutto a me e niente a te!".
Ripalimosani in quell'anno,
come anche in altre diverse località molisane,
terrorizzò con fatti di sangue la Provincia
intera.
Il paese fu una delle prime
terre ad innalzare l'albero della libertà che
consisteva in un naturale albero, per lo più
di quercia o di pioppo, che si ripiantava con
tutte le sue radici nella piazza principale,
come simbolo repubblicano del potere popolare,
adornato spesso di fiori e fettuccie tricolori
per sottolineare l'idea nazionalistica di quegli
anni, ma quel giorno "a colpi di scure
l'abbattono", come ci descrive il Mancini
nella sua monografia su Ripalimosani, "facendo
suonare le campane all'armi, saccheggiano, distruggono,
uccidono. Incendiano la casa comunale distruggendone
l'archivio; assalgono le case dei patrioti,
le vuotano, vi appiccano il fuoco, dandosi perdutamente
ai più orrendi delitti di sangue".
I patrioti ripesi che persero
la vita furono:
Carlo Maria Ferrante; Cecilia Catamario consorte
del predetto; Luigi Ferrante, figlio dei predetti
Carlo e Cecilia; Sisto Ambrogio Ferrante; Nicolangelo
Maria Trivisonno; Francesco Trivisonno; Nicolangelo
Marinelli; Domenicangelo Tancredi; Luigi Biagio
Antonio Marinelli; Luca Antonio Sabetta; altri
furono inseguiti per le campagne. Uno di essi,
Giuseppe Ferrante, ferito alla testa, creduto
morto venne abbandonato ma riavutosi si fece
medicare a Campobasso. Altri ancora si rifugiarono
nel palazzo marchesale, l'ingresso del quale
non fu forzato solo per il timore di "cadere
nel profondo trabocchetto".
La folla, arringata pure dai
contadini Matteo Trivisonno, Gaetano D'Alessandro
e Gennaro Palermo, ed infiammata dalle parole
della moglie di quest'ultimo: Rosa Trivisonno
detta "la Rosetta" la quale gridava:
"eme nnettà (cioè dobbiamo ripulire) a
Ripe de tutte i zazzere e perrecchelle (i galantuomini);
eme fa sparì pure i rerechelle" (le radici).
Insomma fu "un'orgia di sangue che cessò
dopo due ore".
Avuta notizia della strage,
le truppe repubblicane si portarono da Campobasso
a Ripa, circondarono l'abitato e procedettero
a numerosi arresti e ad undici fucilazioni.
"Le teste degli sciagurati
vennero esposte alle mura della città, in gabbie,
e le loro spoglie, sepolte in comune, in una
fossa nelle vicinanze della cappella di San
Giovanniello".
Fra questi non vi erano il
Camposarcuno e il D'Alessandro, i quali, sfuggiti
alla cattura, si aggregarono al terribile brigante
Carlozzi Giovanni, di Montagano, detto "Furia",
che terrorizzava i paesi circostanti.
Il 20 ottobre 1801 i due ripesi
caddero in una imboscata, e circondati reagirono
ingaggiando un conflitto a fuoco durante il
quale "Coccitto" fu ucciso e D'Alessandro
ferito ed arrestato. Il corpo del primo venne
deposto davanti alla chiesa di S. Michele e
la sua testa, staccata dal tronco, esposta prima
in cima ad una piramide elevata sulla piazza
e poi, per timore di essere trafugata, rinchiusa
in una gabbia appesa all'angolo del Palazzo.
Vero è che i contadini molisani,
e di tutto il Mezzogiorno, fino a quegli anni
hanno sopportato troppo, ed il vedere un cambiamento
rivoluzionario di grande portata, che peggiorava
la loro condizione, divenne il pretesto per
giustificare il loro sfogo che spontaneamente
portava alla violenza più crudele.
Per avere un'idea del loro
stato, così scriveva il Galanti nel 1781 nel
suo libro "Descrizione dello stato antico
ed attuale del Contado di Molise": "Il
contadino vive del proprio stento perché caricato
di gravezze e soffre angarie di ogni genere
che i padroni dei fondi sono così facili e diligenti
ad introdurre . Si fa quasi sempre della giustizia
un abuso orribile. Per ogni minimo trascorso
(e talvolta supposto) un povero contadino è
imprigionato e, per le cause più ingiuste, gli
si sequestrano e vendono i beni fino ad un asino
che talvolta è tutto il suo patrimonio, fino
agli strumenti del suo lavoro."
Similmente il nostro compaesano
Francesco Longano
nella sua opera "Viaggio per lo Contado
del Molise" del 1789 descrive il miserevole
tenore di vita dei mezzadri fittuari, e quasi
a profetizzare scrisse che lo stesso sarebbe
stato "una feconda sorgente di commozioni
popolari e di guerre intestine".
Fu facile allora per il Cardinale
Ruffo riuscire a mobilitare migliaia di contadini
che inquadrati in bande (sanfediste) si scatenarono
contro le persone e le cose del nuovo regime.
La stessa Chiesa considerava ciò una nuova crociata
contro gli infedeli, anche se quei nuovi ideali
si sposavano perfettamente con quelli del Vangelo!
Difatti alla fine, per fortuna,
quella ideologia francese ebbe la meglio travolgendo
tutto, sebbene imposta dalla cruenza di Napoleone
che dove interveniva lui crollava il mondo antico
e sorgeva il nuovo, in tutti i paesi occupati
scomparivano le disuguaglianze di diritto tra
le varie classi sociali, non vi erano più né
nobiltà né più clero come corpi onnipotenti.
Insomma un nuovo mondo, quello
moderno basato sulla democrazia, sulla giustizia
uguale per tutti, sul diritto della proprietà
privata, stava nascendo come un parto tra dolori
e sofferenze, ed a distanza di due secoli tuttora
quelle ideologie hanno ancora parecchio da dire.
Bibliografia:
- A. Mancini: "Ripalimosani
appunti e note di storia paesana" - 1939
- Nicolino Camposarcuno: "Il Gazzettino"
- Sabino D'Acunto:
"Il molise attraverso i secoli" -
1987
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